Dopo anni di immobilismo, Verona ha necessità di crescere e di rafforzare la propria posizione nel mercato dell’energia e delle altre utility. Ha anche bisogno di acquisire una logica industriale e superare il particolarismo (per usare un eufemismo) con cui sono state gestite finora le società partecipate ex municipalizzate.
Nella proposta confezionata dall’amministrazione Sboarina purtroppo non troviamo questo slancio, al contrario, troviamo ancora opacità e particolarismo, a partire dalla diversità di trattamento riservata ai consiglieri di minoranza che hanno ricevuto una illustrazione del piano di fusione in separata sede rispetto ai consiglieri di maggioranza.
Eppure la mozione della Lega dell’11 aprile 2019 si obbligava “sindaco e la giunta a coinvolgere i consiglieri comunali nella definizione delle migliori strategie per il futuro del gruppo Agsm, condividendo le scelte che potranno renderlo più competitivo e forte”.
Con la scelta di trattare esclusivamente con A2A, Sboarina e Rucco hanno bistrattato anche il mercato, come hanno evidenziato nei mesi scorsi le vive proteste di Hera. Ora che devono ritornare sui loro passi, e prendere in considerazione anche le proposte di partnership di altri grandi gruppi come Alperia, Dolomiti Energia e Iren che fino a pochi giorni fa erano state tenute nascoste. E’ ora il tempo di un confronto vero, teso a spuntare per Agsm e la città le migliori condizioni possibili.
Poco chiare sono anche le condizioni proposte da A2A: il colosso lombardo si propone di portare a Verona vantaggi sulla generazione di energie rinnovabili e un impianto (quello di Corteolona) che richiede un investimento di 200 milioni di euro per chiudere il ciclo dei rifiuti, senza però spiegare che cosa sarà del nostro impianto di Cà del Bue.
Rispetto al termsheet del maggio 2019 è sparita tutta la parte che parlava del “rafforzamento sulla distribuzione gas e sui clienti energy”. Si parla di una nuova società di un potenziale di 1,3-2,2 miliardi di valore di produzione quando Agsm ne porta da sola 1,15 miliardi. A fronte di questi “vantaggi”, non chiarissimi, Verona riceve un controllo societario massimo del 40%; 3 consiglieri di amministrazione su 9 e nemmeno l’amministratore delegato.
Federico Benini, consigliere comunale Pd capogruppo